Notte in Bovisa
C'è un cartello all'uscita della tangenziale grande quanto un palazzo, con su scritto VENDESI. Cosa sia in vendita però non è chiaro: lo spazio pubblicitario o un qualche immobile vicino? Attorno non c'è niente, solo un grosso cantiere.
Si vende dunque il VENDESI in sé, il "vendere" in sé, si vende il vendere nella sua e/assenza? Si potrebbe ipotizzare che in vendita sia un terzo paesaggio. Ovviamente per conto terzi, su una piattaforma reclamizzante IGPDecaux.
Ma interrompo la regata dei pensieri per via di un motivo contingente: metto una freccia a destra e procedo in retromarcia cercando finalmente di conficcare la mia auto dentro un buco di parcheggio. La incastro a fatica, come un molare caduto dalle gengive.
Prima di spengere il motore estraggo dal lettore un compact disc (ah vecchi codici binari in plastica...). Un altoparlante non va più, ma non importa; per quel che mi serve.
Apro il jewel box e inserisco il disco nell'apposito spazio con il tondo in centro. Lo giro bilanciando la lunga linea gialla orizzontale in corrispondenza delle scritte e ne guardo la fattura spartana, la stampa serigrafica al laser.
Mi soffermo sui particolari inutili ed estraggo il booklet. C'è una foto a doppia pagina che è un mezzo miracolo di action; il cortile interno di una palazzina popolare pullula di figure in passamontagna e calze in posizione di fuga. Giro la pagina: la registrazione è avvenuta tra luglio e ottobre 2008.
Undici anni fa.
A quei tempi avevo un'altra auto e praticamente ci vivevo dentro: mi faceva da auditorium semovente, lo scorrere degli elementi urbani durante la guida erano sempre un film, il posacenere la discarica delle mie elucubrazioni.
Quel cd funziona ancora, malgrado la sua caratteristica inseribilità nell'epoca in cui non ci sono più fessure dove immettere le cose. La musica, nel 2008, era già alle porte dell'inconsistenza.
Da tempo era terminata l'epoca del vinile e dell'audiocassetta, l'epoca di quando il dato meccanico determinava una successione di suoni. L'associazione mentale che ciò-che-si-muove- emette-suono era al tramonto.
In quel 2008 noialtri avevamo in testa gli inseguimenti per i pavé, per le strade buie appestate dalle fumenta delle ciminiere, acquaplannando sui binari del tram durante le piogge “a sgrulloni” (cit. Morselli).
Usciti dallo studio di registrazione si aveva l'esperienza sinestetica dello sfrecciare di luci lampeggianti e di colpi di revolver detonati in corsa. Gli operai lungo file longobarde di condannati al terziario pronti in strada dalle h5:00 di mattina. La guardia notturna in bicicletta rischiava la vita, lo spazzino era testimone di un omicidio per conto della Ligèra quasi ogni sera. La povera gente era del sud; il Terrone era il clandestino uno-punto-zero.
Fantasime anni Settanta. Oggi Milano non ha più neanche un barlume di passato su cui burlarsi, su cui fingere di giocare ai malviventi a mano armata, no more lotta di classe, no more dialetto, no more òs büüs. Al posto del cuore non c'è più l'industria ma il coworking.
“Calibro 35” (prima stampa Cinedelic, fuori catalogo) se fosse stato registrato oggi non avrebbe alcuna fortuna editoriale. La nostalgia ha una sua curva di efficacia, conclusa la quale è solo mero passato. La storia diventa oggetto di studio scientifico dal momento che perde la sua valenza affettiva. I polizziotteschi non interessano più. Meglio così: erano film tremendi.
Esco dall'auto e cammino per un bel pezzo. Esorcizzo le polveri sottili fumando una sigaretta e mi impongo di non lamentarmi dell'inquinamento.
Dopo un giro pesca ritrovo la via Ubaldo degli Ubaldi, sul confine di Villapizzone. Si dice ci fossero grossi studi di posa per dei casting durante i tempi d'oro del pret-a-porter milanese. Adesso magnifici corpi vaganti di razza aliena si trovano solo sui Navigli come una tipicità turistica.
Incontro un cinese che tira dritto, con la faccia baluginante d'un azzurro Iphone. Poi una coppia di egiziani che parlano a gran voce gesticolando in aria; sembra un litigio, ma probabilmente parlano di scooter. Giro l'angolo e incrocio un africano con lo sguardo estinto.
Citofono al campanello “OmniaB Studio” e dopo una decina di secondi un suono tagliente e prolungato indica che la porticina in metallo si è aperta. Lì sotto c'è lo stesso luogo dove l'equipe di lavoro Calibro 35 si è incontrata per la prima volta nel luglio 2008. Ed ora lo studio ha ripreso a funzionare a pieno regime.
Però sono cambiati i sistemi operativi, i modelli di riferimento, la modalità di condivisione e diffusione della musica. Ci sto andando a fare una cosa completamente diversa dai Calibro35. Sì, proprio ora, mentre appongo questa parola nello spazio di questo documento.
Mai fare affidamento sulla trasformazione dei luoghi: essi, dentro dentro, possono tradire e cambiare, restando proprio com'erano. Eterni figli di madri sempreverdi.
Giro la testa verso la strada e prima che io penetri nell'andito e chiuda la porticina alle mie spalle noto lassù, in alto, su una palazzina di recente concezione una scritta pendula: VENDESI.
Il VENDESI, ubicato in beni diversi, è ubiquo. A Milano gode di vita propria. Mi chiudo la porticina alle spalle e penetro nel palazzo. Fuori, in Bovisa, è notte.
tratto da "Bandiere" – Daniele Desperati/PressPress, 2019