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L'obbligo e l'oblio.



Oggi decido di andare alla Mole Antonelliana per vedere se il Museo del Cinema ha riaperto i battenti.

Lungo tutta via Bogino, di fronte a piazza Bodoni, vi è una fila sterminata di autoveicoli di una produzione RAI. C’è un foglio A4 in stile parrocchiale attaccato a un cartello di divieto di sosta, con su scritto le specifiche: inizio ore 18 di domenica 31/01/2021 e fine ore 20 di martedì 02/02/2021. In piccolo, su una specie di pellicola cinematografica stilizzata, c’è segnata la casa di produzione, il numero di ordinanza, il telefono per le informazioni e il titolo della fiction che è “Cuori coraggiosi”. Per curiosità vado a googolare di che si tratta: un feuilleton ospedaliero marca RAI sulla storia di un trapianto di cuore alle Molinette negli anni ’60.

Procedo oltre via Po e arrivo sotto la Mole, in una giornata fredda dove la bruma copre quasi per intero la guglia. Scendo dalla bici battendomi il petto per riscaldarmi dall’umidità, ma risalgo quasi subito perché le porte dell'ex tempio sono chiuse con un cartello “in ottemperanza al DCPM del 3 dicembre riaprirà in data da destinarsi”.

Passo davanti al cinema Massimo dove è rimasto il manifesto del festival TOHorror dell’autunno scorso, con il disegno di una figura femminile in maschera e siringa a firma Miguel Angel Martin. Il DCPM che lo ha chiuso risale al mio quarantaquattresimo compleanno, un lugubre 24 ottobre 2020.

A quel DCPM risale anche il mio ultimo concerto dal vivo in assoluto.

Sono passati tre mesi e mezzo.

Gli umori in questo periodo e sono stati decisamente cangianti: si è passato dalla rabbia, alla comprensione, alla compartecipazione, confondendo in un unico bolo incomprensibile profilassi sanitaria e senso civico, per poi passare anche fasi di voglia di disobbedienza, di lasciarsi colpire dal senso dell’ineluttabile, di menefreghismo informatico, di odio generale e indifferenziato.

Finché ha prevalso, ormai da un mesetto, un’anemica rassegnazione. Ho perso la voglia di parlare di qualsiasi cosa che riguardi l’attualità e credo sia uno stato largamente condiviso. Non ho più voglia di sentirmi informato degli eventi. Ho anche perduto il desiderio di scrivere. Oggi infatti che ho ricominciato faccio un po’ più fatica del solito.

Penso solo a tenere in caldo la mia identità di persona (e di musicista) facendo lavori di arrangiamento per altri, qualche piccola cosa in via privata, qualche occasione condivisa con i The Winstons, i Calibro 35 e la 19’40’’. Ma nulla di paragonabile a quello che era la forza motrice dell’entusiasmo di un anno fa.

Sono anche sicuramente molto fortunato, per cui non parlo dal pozzo nero della disperazione. Per cui conservo (spero) sufficiente lucidità per mettere giù due righe senza peccare di eccessiva retorica in nome della categoria di appartenenza.

L’altro giorno chiedo a Antonio Rezza di girarmi la lettera che aveva scritto in dicembre e che di recente era stata ripubblicata sulla Domenica del Sole24 e pensando a "Cuori Coraggiosi" estrapolo questa frase:


E intanto la Regione da il via alle riaperture dei set cinematografici, le star potranno interagire ed essere a contatto, la pellicola non contagia, il teatro sì, a nessun regista di cinema viene imposto di girare una scena senza baci, ma in teatro gli attori devono parlare con il viso rivolto dalla parte opposta, sul proscenio il bacillo non perdona.


Due giorni fa anche a Milano si girava sulla Darsena una fiction con tanto di droni sospesi a filo d’acqua. Avevo notato che un’attrice era all’aperto con una coperta addosso e la truccatrice (presumo) la stava scaldando strofinandola come si fa con una bimba piccola dopo la doccia. In barba alle distanze.

Dall’altro lato, lungo la riva, le persone erano in giro a prendere un po’ d’aria e tutta una serie di baracchini, bar e bacari avevano i loro bei capannelli di persone dentro e fuori.

Io credo sinceramente che uno dei beni più preziosi che abbiam perso è la libertà di gestire il proprio tempo libero e non biasimo chi ha una voglia matta di ricominciare.

Non biasimerò mai nessuno perché abbia voglia di farsi i cazzi suoi, e non ho mai puntato il dito su comportamenti scorretti né sui cosiddetti "irresponsabili".

Del resto il mio mestiere era qualcosa che aveva un forte legame con la vaghezza, la promiscuità, la natura ambivalente della socialità (scontro e incontro) e quindi non mi si può chiedere di storcere il naso e incriminare laddove ho sempre compreso e assolto.

Non si può equiparare chi ha una vita che si fonda sull’idea di un premio tangibile delle proprie azioni e chi invece sulle proprie azioni ne ha fatto poetica senza premio.

Ma l’equiparazione è dolorosamente stata fatta nel nome della responsabilità e delle curve (ma quanto è idiota questo termine?).

E così è partita una battaglia di lobby (vedi la ristorazione), di capitale (vedi il calcio), di quattrini (vedi i programmi televisivi con pubblico) e di presunti beni primari per la persona (vedi le profumerie, i perüchè o i toelettatori per cani), combattuta di fronte a una platea stufa.

A tutt’oggi la Mole non riapre, alla Biblioteca Nazionale dell'Università di Torino con la mostra su Filippo Juvarra a ingresso gratuito non hanno ricevuto il via libera. Aggiungo che a mia cognata hanno cancellato un ennesimo, importantissimo concerto con Jordi Savall a Parigi.

Però c’è la Juve che vince la Coppa Italia che si bacia e si sbrancica in diretta (sì lo so che son tamponati, figurarsi), gli attori della fiction che si frizionano a vicenda (sì sì, son tamponati pure loro ok), i nostalgici della chiacchiera con cocktail in mano hanno di nuovo il loro rendez-vous (anche se non tamponati son tollerati, come i 5 chilometri in eccesso del multavelox).

Visto che non abbiamo i soldi per comprare un pacchetto di regole ad personam, a noi musicisti dal vivo, per non diventare musicisti dal morto, toccherà iniziare un difficile rapporto con la clandestinità, l’aggiramento delle regole, gli incassi in nero, spazi non a norma e occupati e ogni qualsiasi truffaldineria possibile.

Ed eccoci arrivati: l’arte performativa diverrà sovversiva, come negli incubi delle Avanguardie.

Oggi il termine "pubblico" è per antonomasia il “pericolo sociale".

E a questo punto l’Arte performativa assurgerà a utopia.

Quando era il momento non abbiamo dato prova di esistenza.

Ora è tardi per la resistenza.

Nessuno si è accorto in tempo che la parola "obbligo" conteneva al suo interno la parola "oblio".


Come dice Rezza (Antonio):

“Quando in televisione ho visto i parrucchieri protestare, i baristi reclamare, i tolettatori per cani rivendicare la propria economia, ho capito che uno dei paesi più ricchi di storia dell’arte è il luogo che meno merita i favori dei geni trascorsi.


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