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"A New Adventure of Captain Future" CAPITOLO XI: doppio Futuro


Per il vecchio Kunther tutto quel frinire e quel fogliame scosso dal vento erano rumori angoscianti.

Le prigioni possono essere a cielo aperto, avere il finto volto della volta stellata, avere la forma e la sostanza di un gaio panorama. Ma un pianeta come la Terra, per l'uomo semplice di Ganimede, era un atollo disperso nell'immensità dell'Universo.

Da quando l'esplorazione spaziale aveva raggiunto vette impensabili, l'antropocentrismo, la religione, i dubbi per una grama e breve esistenza erano diminuiti. Al posto loro erano subentrate altre psicosi come l’idrofobia o la cromofobia. Dell’acqua e dei colori se ne aveva terrore più della carenza di ossigeno o delle tempeste magnetiche. Dentro l’azzurro oceano ci potevano vivere creature abominevoli e potevano proliferare microorganismi letali.

Si raccontavano vecchie leggende su come i terrestri avevano usato l'acqua inquinata come merce di scambio per la vita e la morte. E che poi il disgelo e il surriscaldamento dell’atmosfera, avevano prodotto maremoti, cataclismi e pandemie.

Nei fondali marini giacevano megalopoli inghiottite; quante anime avevano lasciato lì i propri involucri corporei.

Il vecchio Kunther non avrebbe voluto mettere neanche la punta di un dito in un mare.

Però, da giorni, era bloccato in quel luogo dimenticato. Per colpa del figlio di Junid e di quegli sciocchi contadini di Gaileo Regis, anziché starsene tranquillo a raccogliere i pomocrauti maturi stava marcendo in un posto chiamato BRION CEMETERY, trovando riparo dentro una fatiscente e umida costruzione romboidale.

Nessuno era giunto, neppure la creatura oracolare (a cui avrebbe dovuto rendere conto lui stesso del furto della Televesione).

Aveva coadiuvato l'esecrabile intento; di fronte alla morale cosmica era anche lui un colpevole.

Era la terza volta che vedeva comparire il satellite Luna durante il percorso di oscuramento del Sole, chiamato ‘notte’. A tutti gli effetti la Terra era un sistema doppio: senza la Luna, si diceva a scuola, non sarebbe stato possibile procreare.

Perché sulle scuole di Ganimede si studiasse la storia della Terra era ancora un mistero. Era comunque più interessante delle noiose Guerre di Kuiper, o delle successioni delle famiglie imperiali a Batavia.

“Sto perdendo il senno...” si disse infine tra sé.

Tutta quella solitudine lo stava facendo diventare paranoico. Ora sì che capiva come si doveva sentire un radiopredone spaziale incarcerato nelle prigioni di Cerbero!

Non riconosceva nemmeno le stelle.

Nulla gli era famigliare...

“Devo fuggire. Ma come?”

Quando sopraggiunse la luce solare, Kunther decise di tentare la sorte incamminandosi verso la linea dell’orizzonte. Era un'alba senza volatili roteanti nel cielo cobalto. I passi dei suoi stivali inter-spaziali erano attutiti dalla morbidezza del terreno erboso; la vegetazione era inspiegabilmente brillante, come se da ogni filo d'erba pendessero gocce cristalline. Kunther si fermò e passando una mano lungo un lembo di prato la ritrasse bagnata.

“In questo lussureggiante pianeta, l’acqua è ovunque...”

Si asciugò sul petto della tuta e riprese a camminare verso il Sole.

Attraversò distese di prati incolti e boscaglie fitte e appuntite senza incontrare anima viva.

Finché una macchia scura apparve nella radura: sembrava qualcosa di vivo a cui da un'estremità penzolava qualcosa.

Kunther serrò il passo e cercò di capire cosa fosse la grossa creatura di fronte a lui. Ma era troppo lontana per decifrarne i contorni e troppo vicina per schivarla. La cosa pendula era una protrazione cartilaginosa posta a metà, oscillante e autonoma come una biscia delle Colonie, bianca e pelosa come uno scopino dei contadini. La bestia, perché tale era, aveva un manto bianco e marrone a macchie irregolari che parevano la cartina dei continenti alla deriva di un esopianeta.

Sotto la corda pendula emergeva una specie di sacca contenitiva dall'aspetto di una protuberanza riempita di un ingombro plasmatico o forse di un'altra creatura in gestazione.

All'estremità opposta sporgeva una testa marrone con una piccola calotta bianca e due antenne solide e pelose a forma ellittica, tese in orizzontale a destra una e a sinistra l'altra. Vibravano impercettibilmente senza apparente regolarità, come sollecitate da un qualche agente fastidioso.

La bocca della bestia, fino a lì immobile, cominciò a spostarsi da destra a sinistra in un percorso di flemmatica sincronia: che stesse masticando qualcosa?

Kunther quando vide che abbassava la testa sull'erba la sradicava con grossi denti piatti, si convinse che era un quadrupede innocuo.

Il prato verde e il cielo azzurro facevano cornice a quella bestia così placida che per un attimo Kunther ne percepì una potenza iconica ingenita, talmente profonda da provenire da un recesso dell'anima; l'entità ancestrale che risiedeva in ogni essere umano di tutti i Sistemi, da New York, a Lulanee, da Panstaars a Titano e oltre risuonava di uno stesso cuore atomico matrice. Cogitò che tutti i figli dell'Universo avevano avuto una prima Madre e che quella era nata sulla Terra.

Su Ganimede, e in tutti gli altri pianeti e satelliti del Sistema, si diceva che venire in viaggio sulla parte selvaggia della Terra era come un pellegrinaggio verso l'oscura parte di sé e che tutti coloro che lo avevano fatto erano tornati con l'idea di Dio, con la psicosi infettiva detta ‘religione’ e altre barbare nequizie. Un cambio in peggio, s'intende.

“Riprenditi vecchio...”

Si tirò uno schiaffo per rinfrescarsi le idee e lasciò da sola la placida creatura in mezzo a quel verde nulla.

Kunther superò una striscia di alberi incolti e piegati su loro stessi quando apparve una scia rossa nella volta celeste.

“Cos'è?”

Sembrava il percorso parabolico di un oggetto volante, precipitato non troppo lontano su un piccolo altopiano.

Kunther corse a controllare e nascosto dietro a dei cespugli vide un aviogetto piegato di lato; doveva aver fatto brusco un atterraggio e una cascata di scintille fuoriusciva da un fianco dell’involucro esterno.

Accucciato sotto un alettone, una figura umana corpulenta stava armeggiando con il corto circuito. L’uomo sbraitava con tutto sé stesso contro la malasorte.

Ma il tono di quelle imprecazioni dette a Kunther un inspiegabile senso di sollievo e uscì allo scoperto…

“Borgomastro Moribund? Sei proprio tu?”

“Chi va là?” fece quello, impugnando una pistola protonica.

“Io, il vecchio Kunther! Che ci fai in questa landa desolata?”

Il pilota si alzò in piedi di scatto battendo il capo contro l'alettone della nave. Tenendosi con la mano la testa dolorante esplose in grida di gioia:

“Kunther! Ti ho trovato, finalmente!”

Il Borgomastro aveva la faccia rubizza e la classica espressione bonaria di chi ci dava forte con l’alcool. L’ultima volta che si erano visti fu durante la progettazione, secondo i parametri del the dome stagionale, della coltura di granide.

“Junid e l'intero Consiglio sono scomparsi” disse con voce grave il Borgomastro “li sto cercando in lungo e in largo per tutto il Sistema. Dove si sono andati a cacciare?”

“Non lo so, ma portami via da qui e ti aiuterò a cercarli.”

Dopo una riparazione di fortuna decollarono in assetto verticale, sorvolando i grandi prati in direzione dell'oceano. Videro di nuovo la creatura solitaria in mezzo al prato.

“Toh, una mucca” fece il Borgomastro, leggendo tra le righe l'espressione incuriosita di Kunther “non ne avevi mai vista una prima, vero?”

“Francamente no.”

Raggiunta la stratosfera il vecchio Kunther raccontò della missione nella ricerca dell'Avversario, del viaggio su Vega, della Televisione e dei mercenari Teklon.

“Si sono messi nelle mani di gente senza scrupoli. Io li avevo avvertiti ma hanno fatto di testa loro.”

“Andiamo nella sede della Polizia Planetaria a New York a chiedere aiuto. Non c'è tempo da perdere” sollecitò Kunther accorato.

“Era quello che avevo intenzione di fare”

Ascesero fin sulla crosta della stratosfera e una volta sul limitare dello spazio buio la gravità si interruppe e tutto sembrò rallentare. Ridiscesero pochi minuti dopo in picchiata e fendendo l'aria l'effetto di ablazione eliminò il primo strato di superficie dell'aviogetto, predisposto a rigenerare lo scudo termico ad ogni processo di attrito atmosferico. Scintille e lame di fuoco durarono una manciata di secondi e poi tutto tornò normale.

Già ad altissima quota videro una immensa macchia lucida delimitata dall'oceano in ogni sua parte, oblunga e spigolosa come un Monumento Continuo: quella era New York, la megalopoli in radite e biotenuro che si estendeva per la maggior parte dell’antico continente americano. Penetrando nello spazio aereo della città, migliaia di luci ad intermittenza formavano innumerevoli costellazioni immaginarie.

Altissime torri superavano le nuvole che creavano vortici d’aria; una torre si stagliava più imponente rispetto alle altre.

“Messaggio in lingua Globo-convenzionale per la Torre del Governo: qui è il Muribund il Borgomastro di Galileo Regis su Ganimede. Chiedo urgente permesso di atterraggio per conferire con il capo della Polizia Planetaria Halk Anders.”

“Parla la radiostazione doganale della Polizia Planetaria. Procedura di identificazione attivata. Di che si tratta?”

“Denuncio la scomparsa di mio figlio Junid e dell'intero Consiglio dei contadini di Ganimede. Sospetto legami con l'organizzazione mercenaria Teklon”.

“Via libera. Potete atterrare”.

L'aviogetto posizionò i retrorazzi verticalmente e discese lentamente su una piattaforma in cima alla Torre del Governo. Ad accogliere i due uomini venne incontro una pattuglia nella tipica uniforme blu indaco della Polizia Planetaria. Erano coperti da caschi e imbracciavano cannoni laser. Uno di loro si fece avanti esortandoli a seguirli lungo una serie bustrofedica di corridoi illuminati al cripto.

Niente e nessuno sarebbe riuscito a penetrare nel Quartier Generale senza essere registrato da un complicatissimo sistema di video sorveglianza interna.

Il Borgomatro e Kunther seguirono in silenzio l’agente e raggiunsero una sezione della Torre atta ad abitazione. Lì viveva, in un alloggio privato con vista sul cielo delle strade pneumatiche di New York, il capo Halk Anders.

Li accolse vestito da soggiorno, in vestaglia di tessuto pregiato e pochette a pois, ma il volto tradiva la preoccupazione per qualcosa che stava accadendo e di cui non riusciva a tenere le fila.

“Spiegatemi tutta la situazione” disse senza convenevoli.

Il Borgomastro cercò di spiegare il pregresso.

“Il progetto di trivellamento e l'azione coatta di trasferimento delle genti su Callisto è stato uno shock per tutti gli abitanti di Ganimede. Molti di noi, alla notizia che nel settore di Uruk Sulcus i lavori erano già a buon punto, hanno perduto completamente il senno”.

Anders annuì senza dire nulla e il Borgomastro continuò:

“Alcuni periodi fa mio figlio Junid fu avvicinato dal capo dell'organizzazione mercenaria Teklon che gli propose una pericolosa azione sovversiva atta a fermare il progetto”.

“In cambio di cosa?” interruppe Anders.

Kunther si sentì chiamato in causa e prese parola.

“Junid e una guerriera Teklon vennero da me in cerca di un manufatto terrestre chiamato Televisione”.

“Di che si tratta?” chiese Anders, mentre si lisciava il mento guardando il panorama fuori dalle grandi vetrate.

“È un antichissimo manufatto terrestre da cui venivano emesse immagini senza possibilità di interazione. Dopodiché avrei dovuto trovare l'Avversario, un fantomatico combattente di un altro piano dimensionale La ricerca dell'Avversario prevedeva l'utilizzo di questo strumento come transfert dimensionale.”

“E l'avete trovato?”

“Sì. Ma il gigantesco Teklon che mi ha condotto sul luogo del ritrovamento lo ha trafugato abbandonandomi lì...”

“I Teklon sono un brutto affare...” disse Anders preoccupato.

“Avevo messo in guardia quella testa calda di mio figlio!”

Kunther sentendosi corresponsabile della riuscita del piano criminale soppesava le parole.

“L'Avversario che stanno cercando è Kyaputen Fyūchā”.

“Captain Future, vorrai dire?” puntualizzò Anders.

“No. Kyaputen Fyūchā è una versione dimensionale alternativa di Captain Future: proviene dall'epoca in cui Televisione trasmetteva le sue avventure”.

Il Borgomastro non riuscì a trattenere una sghignazzata.

“Vecchio Kunther, sei impazzito?”

“Ascoltatemi bene: chi ha macchinato questa follia ha usato prima l'esca dell'atto eco-terroristico e poi ha evocato un clone del famoso Captain Future”.

“Non ci resta che avvertire il Comet”.

Halk Anders premette un pulsante sul tavolo e un quadrante video si accese. Ma lo schermo era nero senza segno di sintonizzazione.

“Che diamine...questo è il canale diretto. Perché nessuno risponde?”

Anders, uomo non avvezzo alla pazienza, andò su tutte le furie imputando la colpa alla tecnologia. Accorsero due attendenti e provarono a risolvere il problema, ma sembrava proprio che il Comet non esistesse più.

Tentarono di comunicare con i mezzi ausiliari e quando si collegarono con il ricognitore dei Futuremen apparve finalmente l'immagine del volto stanco e slavato di Joan Randall.

“Joan! Vi stiamo cercando in lungo e in largo. Che fine avete fatto?”

L'agente speciale abbassò lo sguardo; la notizia della debacle era dolorosa e la scomparsa di Ezra non era stata ancora denunciata alle autorità planetarie. Tutti i Futuremen superstiti erano intenti a riparare Grag e stazionavano vicino alla Fascia di Kuiper, laddove era più facile trovare riparo da un eventuale attacco Teklon.

Al silenzio di Joan venne in soccorso Captain Future che raccontò il triste accaduto. Anders non lo aveva mai visto così abbattuto, così fuori dal personaggio spavaldo che era noto a tutti.

“Oh Ezra…” balbettò Anders, sconvolto “Ul -Quorn, il Mago di Marte ha superato ogni limite! Quel maledetto bastardo la pagherà cara...”

“Siamo incorsi in un attacco diretto di una efficacia inaudita. Quell'astronave trans-dimensionale era più potente del nostro Comet e niente ha valso resistere.”

Il vecchio Kunther, alla notizia del disastro, si sentì affliggere da un così grave senso di colpa che lo spinse ad ammettere il proprio errore di fronte allo stesso Captain Future. La ricerca dell'Avversario gli era stata presentata come soluzione in sostegno di una giusta causa; solo ora si rendeva conto di quanto fosse trucemente contorto il disegno che aveva ingannato i contadini di Ganimede.

Il dilemma gli presentò la colpa come un amaro fiele in un vassoio di eterno rimorso. “Captain Future” rivelò Kunther, “il tuo Avversario trans-dimensionale è un altro Curtis Newton chiamato Kyaputen Fyūchā”.

“Spiegati meglio, uomo di Ganimede” disse Captain Future lisciandosi il mento.

“Prima Caphis, un telepate di Panstaars, e poi una creatura- guardiano sulla Terra mi avevano parlato del concetto di animated cartoon, una forma di vita animata nata dall'estro dell'uomo del ventunesimo secolo. Il Kyaputen Fyūchā che vi ha attaccato è l'incarnazione di una delle tue possibili reinterpretazioni narrative.”

“E come tale è forte quanto noi...” disse pensoso Curt.

Alle sue spalle apparve Otho che con un saldatore in mano: “Allora era un altro Comet quello che ci ha attaccato!”

Il Cervello, levitando, apparve in video “è dunque lecito ipotizzare che ci fossero anche degli animated Futuremen a bordo”

“È molto probabile” soggiunse Curt.

“Dunque secondo il protocollo di cavalleria dei Futuremen,” continuò Il Cervello “l'unico motivo per attaccare senza preavviso un'astronave è una dichiarazione di minaccia diretta. Ergo sono stati convinti da Ul-Quorn con i mezzi dell'inganno, che noi eravamo il più temibile dei nemici possibili. ”

“Ah cani spaziali! Se incontro l'Otho animato di quell'altro Comet lo strangolo con le mie stesse mani!”

“Io credo che sarebbe un errore, Otho” Il Cervello sedò lo scatto d’ira dell’androide.

“Esatto, Simon: noi dovremmo cercare un dialogo” sorrise Curt Newton, nella fiducia ritrovata “e allearci contro un comune nemico. Ripariamo Grag e torniamo a Base Macchia Rossa per un rendez-vous trans-dimensionale. Ho un'idea...”

“Avrai il sostegno della Pattuglia Planetaria, Captain Future” fece con aria solenne Halk Anders “annientate una volta per tutte Ul-Quorn. Fatelo per il mio amico Ezra Garmin e per tutte le genti dello Spazio”.

つづく

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