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"A New Adventure of Captain Future" CAPITOLO V: la ricerca dell'Avversario


Sembrava un giardino, il più perfetto e delizioso che ci fosse mai stato nel mondo sidereo.

Eppure, quello del vecchio Kunther era semplicemente un ordinatissimo orto domestico. I fiori erano disposti secondo meticolosa ortodossia botanica e gli ortaggi scoppiavano di salute malgrado la fioca luce di Giove.

I raggi gioviani erano filtrati attraverso la grande calotta, chiamata the dome, che custodiva la vita di buona parte del continente tra la Galileo Regio e la Memphis Facula. Tutto in Ganimede, più di ogni altro corpo celeste abitato nel Sistema, era ad immagine e somiglianza della Terra: the dome determinava il giorno e la notte con un oscuramento a ciclo di ventiquattro ore, produceva precipitazioni stagionali che ricalcavano i continenti australo-atlantico terrestri e, dopo una oculata immissione di fauna, su Ganimede sembrava in tutto e per tutto di vivere in un paradiso.

Gli abitanti di Ganimede parlavano una variante dell'antica lingua globo convenzionale, simile a quella parlata nelle colonie di estrazione gassosa su Giove. Avevano loro poeti, una loro storia culturale ben definita, un'identità conservata come il migliore dei doni della provvidenza.

Kunther stava leggendo una poesia del millenario giapponese Basho, dondolandosi sulla veranda della rustica casetta di fronte al giardino. Il ganimediano era una persona solitaria, ma non per questo infelice: oltre a curare le sue piante spendeva molto tempo a studiare le origine della razza umana, convinto che il diletto intellettuale fosse il miglior viatico per una vita serena.

Aveva dedicato alla lettura e allo studio una parte cospicua della sua gioventù, tanto da assurgere a ruolo (involontario) di saggio della comunità. Sempre più persone andavano da lui a chiedere consigli, proporre incontri, fare domande delicate su cose terrene e sull'Universo intero. Lui, appresa l'arte dell'umiltà dagli antichi sapienti, si rendeva disponibile senza nulla in cambio. Sapeva curare con le erbe, individuare le mappe astronomiche ad occhio nudo, era lucido e tagliente con i prepotenti e dolce e disponibile con gli animi gentili.

Finché non divenne l'unico depositario in Ganimede, della conoscenza di tutta la storia terrestre.

Lo chiamavano il vecchio Kunther, anche se propriamente vecchio non era: aveva l'età del poeta Basho quando morì, esempio per lui di ieratico talento contemplativo.

Della frescura faccio la mia casa, e qui riposo

Kunther lesse ad alta voce da una vecchia tavoletta grafica un haiku, poi si alzò e si avviò nel viottolo principale del giardino.

In alto il cielo era d'un azzurro perfetto, proiettato sulla superficie riflettente del vetro anti raggio di cui era fatto the dome; l'uomo guardò in alto schermandosi i riflessi dei raggi di Giove con la mano. Quando sentì una voce chiamarlo alle spalle:

“Vecchio Kunther!”

Si voltò, e vide un tipo robusto, vestito alla buona con tessuti di microstoffa leggeri.

“Chi mi cerca?” fece l'uomo con circospezione.

“Sono Junid, figlio del borgo mastro continentale di Galileo Regis”, rispose il giovane. Dietro di lui una figura sinuosa restava nascosta dietro l'ombra di un albero da frutto.

“E lui chi è?” fece Kunther, indicandola.

“Non è importante”, disse l'ombra restando nella penombra fresca di un alberello da frutto.

“Invece lo è. Presentarsi a casa mia è d'obbligo”, rispose Kunther con fermezza.

La figura uscì allo scoperto: era una donna dal volto opalescente, tatuato a linee rette nere e rosse; lo sguardo era quello evasivo delle persone abituate ad occultare i propri scopi primari.

Kunther appena vide i tatuaggi e i capelli verdi setosi, sussultò: “Tu sei una guerriera Teklon? Che ci fai qui?”

“Non adirarti, vecchio Kunther”, rabbonì Junid con voce conciliante “lei è Hnjar ed è in missione per conto dei contadini di Ganimede.”

“Una mercenaria gioviana in missione per i contadini di Galileo Regis? Non ti credo, ragazzo”

“Aspetta a giudicare. Una rivoluzione popolare si sta sollevando. Riguarda l'infame progetto di perforazione del pianeta. I Teklon hanno aderito alla causa. Permettimi di spiegarti, non è prudente restare all'aperto.”

Si avviarono all'interno della casa, oltrepassando la veranda nel pieno del tramonto. Una volta entrati Junid si sedette al tavolo con l'ospite, mentre la guerriera restò in piedi silenziosa e con aria circospetta.

“Di cosa si tratta?” chiese a bruciapelo Kunther.

“Tu sei l'unico che può aiutarci a trovare l'Avversario” fece Junid sussiegoso.

“L'Avversario?” l'uomo guardò quella donna, così fredda e misteriosa.

“Sì, l'unico che po' sconfiggere Captain Future” disse il giovane pesando le ultime due parole.

Kunther rimase attonito. Conosceva le gesta del grande scienziato, devoto al bene e alle giuste cause. Era un paladino galattico, che nessuno si sarebbe minimamente sognato di offendere o di sfidare.

“Ma Captain Future è un eroe. Cosa avete contro di lui?”

“Eroe? Quando si combatte per una causa sbagliata, non si è più un eroe” Junid appoggiò un dito sul tavolo come a puntualizzare il proprio discorso. Spiegò per filo e per segno il disegno di massiccia traforazione di Ganimede che era già in procinto di operatività sulla Uruk Sulcus, e di come gli scavi fossero drammaticamente a buon punto.

“E nessuno nel Sistema conosce la verità!” Junid picchiò una mano sul tavolo Junid e continuò con maggiore veemenza.

“Abbiamo tentato manifestazioni pacifiche, ma la Polizia Planetaria ha agito con forza. Noi contadini siamo spaventati: vorrebbero deportarci su Callisto. Ma nessuno vuole lasciare le proprie case! Abbiamo molti bambini che non potrebbero crescere in un luogo alieno. È una follia!”

Kunther non disse niente. Lui viveva in un punto del satellite ancora al sicuro dagli escavatori. Ma certo, il comportamento delle megaimprese e della Polizia Planetaria era assolutamente inqualificabile.

“E Captain Future, in tutto questo, cosa c'entra?”

Junid trasse un profondo sospiro: “Di fronte alla disperazione, siamo stati costretti ad agire con la forza: abbiamo sequestrato la più grande nave di carico del Sistema.”

“Cosa?” Kunther scattò in piedi.

“Due guerrieri Teklon l'hanno tenuta in pugno pretendendo l'interruzione dei lavori di macroescavazione...”

“Incoscienti!” urlò Kunther “come vi è venuto in mente di fare un'azione simile?”

“Mi rendo conto, vecchio Kunther che tu non approvi. Ma non avevamo altra scelta...”

“E cosa darete in cambio a questi orrendi mercenari?” sbraitò Kunther, puntando l'indice contro la donna immobile sulla porta.

Junid si fece improvvisamente cupo.

“Questo non vi riguarda.”

Kunther camminava agitato in su e in giù per la stanza. Andò in cucina e prese un bicchiere dalla mensola. Poi lo riempì d'acqua e lo ingollò d'un fiato.

“Non so cosa mi freni dal non buttarvi fuori di casa...” disse.

“Purtroppo Captain Future ha agito in difesa della Polizia Planetaria e da ora è un nostro nemico naturale. Cerchiamo l'unico che può sconfiggerlo. E tu devi aiutarci a trovarlo.”

Junid parlò, e sembrava un'altra persona, non più l'impacciato contadino dell'ovest ma un vero governatore continentale. Kunther aggrottò le ciglia: “che dovrei fare, sentiamo?”

“Si dice esista ancora da qualche parte un oggetto teletrasportatore d'immagini. Era in uso nelle primitive genti della Terra. Devi partire e trovarlo per il bene di Ganimede…”

“Ma io non posso lasciare la mia casa! I pomocrauti sono maturi e vanno colti nei prossimi giorni!” fece Kunther esasperato.

“Non lo capisci vecchio Kunther? Tra poco, non avrai né una casa in cui vivere né pomocrauti da cogliere. Ganimede è in pericolo: tutto quello che accadrà alle nostre latitudini si ripercuoterà alla gravità dell'intero satellite. Lo scopo delle megaimprese è quello di rendere il nostro mondo inabitabile. E lo faranno prima che tu possa rendertene conto. Se non fermiamo Captain Future, lui si trascinerà con sé la legge intergalattica fino ad estreme conseguenze” disse Junid col tono più convincente possibile. Aveva gli occhi della disperazione.

Kunther, a quel punto, disse “devo meditare...”, e mettendosi la testa tra le mani chiuse le palpebre per un ampio lasso di tempo.

Quando aprì gli occhi, andò in un'altra stanza. La guerriera Teklon, fece un gesto nervoso come per fermarlo da una fuga improvvisa, ma Junid mosse una mano in segno di attesa.

L'ospite si fece attendere ancora e quando tornò teneva in mano uno strano oggetto. Sulle prime pareva un esempio preistorico di tavoletta grafica, ma aveva uno spessore e un volume che davano la sensazione di contenere qualcosa al suo interno.

“Cos'è?” chiese Junid innocente.

“Come cos'è? È un libro, ragazzo mio. Non ne hai mai visto uno?”

“No.”

“Lo vuoi toccare?” Kunther cedette per un attimo il libro al giovane contadino ganimediano, che ebbe appena l'ardire di sfiorarlo con una punta dell'indice.

“Sembra organico” e ritrasse subito il dito appena percepì una strana ruvidità per nulla familiare.

“In un certo senso lo è: si tratta di carta” disse Kunther.

“Carta?”

“Era il materiale, ricavato dalla cellulosa degli alberi di cui è piena la Terra, su cui si scriveva con inchiostro o a mezzo di stampa. È una cosa troppo lunga da spiegare. Ma proprio in questo libro c'è una traccia interessante.”

L'uomo aprì delicatamente il libro e mostrò qualcosa a Junid.

“Immagino che non sai leggere la lingua globo convenzionale antica? Non è poi così diversa da quella che si parla qui” indicò qualcosa che sembrava un disegno sottile.

Junid aguzzò la vista, ma non riuscì a decifrare alcunché.

Nell'immagine che l'uomo mostrò al giovane c'era una specie di cubo. Di fianco: l'idea stilizzata di un uomo con un copricapo cilindrico.

“È questo ciò che cercate” disse Kunther sfiorando con l'indice i contorni del cubo nero. Spostando il dito verso destra si soffermò su dei simboli arcaici.

“Qui c'è un messaggio occulto” fece Kunther inarcando le sopracciglia.

“Cosa dice il messaggio?”

Vega Radio Televisione”.

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Con occhi semichiusi e mani stese, appoggiate delicatamente sui braccioli del posto più vicino alla cabina, Kunther respirava ad ampie arcate regolari. Erano esercizi di rilassamento suggeriti ai corsi della compagnia aerospaziale pubblica, specifici per quelli che avevano paura del pre-balzo.

Gli aviogetti di questo tipo erano concepiti per un decollo continuo, fino al punto limite della perdita di gravità, riducendo i tempi di viaggio interstellari a una manciata di ore. Visti i costi dei biglietti, venivano solitamente usati dalle high level class. Il posto accanto a quello di Kunther era vuoto e lui poté allargare i gomiti, facendo aderire bene i polpastrelli l'uno contro l'altro, come delle ventose.

Ci fu una leggera scossa e sentì, proprio in quel momento, sollevarglisi il corpo di qualche centimetro dal sedile; le cinture, bloccarono delicatamente vita, spalle e fianchi, tenendolo sospeso ma non libero come avrebbe fatto la zavorra di un pallone aerostatico. Strinse forte gli occhi ma continuò a respirare secondo il metodo

suggerito dagli assistenti di volo, a grandi volute e lente espirazioni.

Una grande preoccupazione ingombrava la sua mente: "ci vorranno anni per trovare Televisione".

Ma il messaggio occulto, anche se risalente ad un'epoca precedente delle grandi colonizzazioni ci aveva visto gusto: se si cercava un'informazione su qualcosa proprio su Vega si avrebbe avuto la speranza di trovarla.

L'aviogetto iniziò finalmente la lunga discesa, immisero altro ossigeno nella cabina e finalmente Kunther e tutti gli altri passeggeri si addormentarono.

Vega: un sistema stellare incommensurabilmente più grande di quanto l'uomo avesse mai potuto immaginare. Proprio lì, in quel consistente brandello di cielo a solo 25 anni luce da Giove vi era Panstaars, il Pianeta Terminale, composto solo e quasi esclusivamente di immensi palazzi adibiti ad archivio intergalattico. Il pianeta di per sé era molto piccolo, e per questo venne deciso di espandere in altezza il perimetro abitabile.

Dal finestrino dell'aviogetto Kunther, ormai di nuovo desto, vedeva i grattacieli acuminati sempre più minacciosi. Erano così alti che formavano una muraglia che ostruiva la luce anche durante il giorno. Con un forte sobbalzo gli ospiti a bordo atterrarono sulla pista dello spazioporto entrando nel cono d'ombra della megalopoli.

"Com'è andata, signor Kunther?" chiese la persona che lo raccolse all'arrivo di Panstaars, un vecchio calvo con folte sopracciglia e borse scure sotto gli occhi.

"Odio viaggiare."

"Lo immagino, ma consideri il poco tempo che ci ha messo: due ore per circa diciassette anni luce.”

Entrambi salirono in un veicolo scuro. Kunther teneva i piedi giunti e una postura di rigidità calcolata.

“Bello il panorama, non crede?", chiese l’uomo.

Kunther dette l'impressione di non voler rispondere. Ma poi si girò verso di lui di scatto guardando in un punto ipotetico oltre la sua testa:

“Direi di no.”

Lo attraversò con lo sguardo, ma ciò non bastò per azzittirlo.

“Mi chiamo Caphias Kolomini, e sono al corrente di ogni cosa che la riguardi.”

“La manda Junid, vero? Sono stupito dai mezzi di cui dispongono i contadini Gioviani.”

“Non dovrebbe. Aiuto una causa giusta, e lo faccio con piacere disinteressato. Siamo in molti nel cosmo a trovare iniquo quello che succede su Ganimede...”

Nel sentirlo parlare, Kunther, aveva la netta sensazione che non fosse del tutto la verità.

“Come può aiutarmi?”

“Lei non ha mai cercato negli archivi vegani, non ha idea di che immensità vi si nasconde dietro. Potrebbe impiegarci decenni senza trovare niente.”

Kunther questo lo sapeva benissimo.

“Vede”, disse Caphias sollevando un lembo di pelle sintetica dietro la nuca “qui dispongo di una speciale connessione che può interfacciarsi con i terminali utilizzando la velocità degli impulsi nervosi del cervello. Essi sono molto più veloci se dialogano direttamente con il sistema, senza uso di monitor o pad digitali.”

L'autoveicolo si fermò alla base di un palazzo dalle dimensioni incalcolabili. Caphias scese dall'autoveicolo, fece il giro, aprì la portiera a Kunther e assieme si diressero verso la porta d'accesso principale.

Una volta raggiunto il terminale al duecentosessantaseiesimo piano, Caphias estrasse un lungo cavo arrotolato e se lo inserì nella testa aggiuntando l'estremità alla base di un controller a tastiera. Degli impulsi luminosi indicavano che la connessione era operativa. All'archivista vegano erano scomparsi le iridi degli occhi e la vuotezza dei bulbi oculari erano di un bianco brillante .

“Allora Kunther, cosa stiamo cercando?” disse, con voce pacata.

L'uomo esitò qualche istante, ed ebbe d'istinto un moto di sconforto.

“Veramente, non lo so neanche io.”

“Suvvia, restringiamo il campo...”

“D'accordo: che cosa è Televisione?”

La testa di Caphias tremò violentemente, come se prossima a sganciarsi dal collo e a spiccare il volo.

Come un medium disse, rantolando: “è un preistorico mezzo di diffusione delle immagini. Veniva usato dalle genti della Terra in un brevissimo periodo di tempo, prima dell'Era Desertica. Aveva la caratteristica di produrre immagini in movimento da uno schermo senza che vi fosse la possibilità di interazione”.

“Quale utilità poteva avere?” pensò a voce alta Kunther.

Sentendo la domanda, Caphias in completo stato di trance, rispose “serviva per intrattenere le genti passivamente.”

“Senza uso di circuiti nucleari esterni?”

“Esatto. Era uno strumento che andava a corrente elettrica.”

“Cosa significa?”

“Era un arcaico sistema di diffusione dell'energia. Ogni nucleo abitativo aveva degli inserti dove applicare cavi, ove l'energia erogata dava funzionamento agli utensili della vita quotidiana. Televisione era un cosiddetto elettrodomestico ed era presente in ogni casa, come un totem Intergalattico.”

“Una specie di divinità quindi...”

“Per gli esseri umani di quelle ere, si trattava dell’emanazione di una forma oracolare rivelata.”

Kunther prese tempo per riordinare meglio i pensieri ma Caphias dette segno di impazienza.

“Dal reparto centrale dell'archivio mi hanno detto che non abbiamo più molto tempo. Hanno necessità di chiudere questo terminale. Sono molto rigidi ai piani alti...”

“D'accordo: come è fatta Televisione?”

Caphias, senza muovere un muscolo, fece apparire dal nulla un'immagine fotografica tridimensionale di un oggetto cubico, provvisto di uno schermo nero e tasti meccanici. Di fianco una tabella di caratteristiche specifiche in lingua-codice globo convenzionale:

- Modello Vega TVC-3 Brionvega, anno 1974, categoria ricevitore televisivo a colori, due valvole, supereterodina, magnete permanente altoparlante dinamico, cinescopio da 18", oggetto di design con mobile a cubo in legno verniciato in nero opaco.

“Questo è l'unico modello attualmente esistente in tutta la galassia. Non ve ne sono altri.”

“Dove è custodito?” chiese Kunther con sussiego.

“Il luogo non è completo di coordinate spazio temporali. Ma il nome segnato nel micronfile è BRION CEMETERY, Penisola Italia Antica, Sud Europa, Continente Nord Polare, Terra, sistema Solare.”

“Ma la vera carta originariamente indicava Vega. Perché?

“Tu sei stato ingannato dal nome di un semplice ‘prodotto’. Vega, era solo il vezzo di ingigantir le cose: a quei tempi avevano appena messo piede, e a fatica, sulla Luna. Vega era una stella irraggiungibile nella costellazione della Lira. È sulla Terra che devi andare a cercare.”

つづく

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