NAZIONI ZERO
Plot per una storia di fantascienza
A.D.2020, pianeta Terra.
La Russia, implementando negli anni un’esperienza solida di intelligence informatica, viene assoldata a più riprese dagli USA per manovre di destabilizzazione.
Una di queste efficaci operazioni è il procurato allarme per epidemia virale, virus creato nei laboratori batteriologici di Pasadena (CA) e occultato dall’ipotesi non comprovata di un serbatoio animale originario. Dopo l’esotico zibetto, il simpatico dromedario, le scimmie del King Louie è la volta del pipistrello di cui verrà rimarcato (ricorderanno i media) la somiglianza con i topi, e verrà ulteriormente ribadito come i topi finiscano spesso nei piatti delle fasce proletarie nell’estremo oriente.
Bersaglio principale dell’intera operazione: colpire l’impero cinese. Bersaglio secondario: ridimensionare l’impatto del continente europeo nelle mappe economiche globali (salvando Svizzera e Inghilterra) e disorientare il Medioriente (tenendo salvo Israele, già strutturato all’isolamento militare).
In questo quadro strategico serve puntare il riflettore sulla paura, quale metodo efficacissimo di controllo del “meteo” umorale degli uomini. In pochi mesi il panico si ramificherà con pochissimo sforzo e massima resa; sarà sufficiente scegliere una città minore della Cina (da poco più di dieci milioni di abitanti), far trapelare i dettagli più funebri (numero di morti: 1.100*), mostrare le manovre di costruzione di impianti ospedalieri last minute e inculcare l’idea che “se una dittatura come quella cinese fa sapere al mondo intero di vivere un dramma senza precedenti significa che la situazione è gravissima”. Poi un tocco di Hollywood: città deserta, supermercati vuoti, mascherine sui bambini, militari agli angoli, l’Apocalisse da serie televisiva che stavano tutti aspettando non è on demand, ma in onda gratuitamente su televisione, giornali e web.
La macchina mediatica era già in moto ad attendere come uno sciacallo il reale effetto della messa in circolo del virus. Panico internazionale: la Cina, a ridosso del Capodanno, è in ginocchio, il mercato è al tracollo. Il mondo, collegato senza possibilità di reverse, prende la via del baratro. Gli USA promettono un vaccino (il creatore è magnanimo), ma non daranno più notizie di sé.
L’ostracismo verso l’occhio mandorlato (sfortunatamente ben riconoscibile) raggiunge ogni angolo del globo. Episodi di razzismo gratuito vedono protagonisti anche coreani e giapponesi, che per non saper né leggere né scrivere è utile trattare alla stessa stregua. Tanto, per gli occidentali, sono un incrocio indefinibile tra degli alieni e degli insetti, con in più la mitezza tipica del soccombente.
Il terrore verso l’estraneo è ora motivato dalla sacrosanta emergenza sanitaria; è un via libera alle destre (sia di fatto che di concetto), un semaforo verde per il colore nero (nazionalista e non africano).
Quelli basta tenerli alla larga, chiudere voli aerei diretti, non andare più nei ristoranti, negli empori, nelle manicure, nei massaggi tuina e tutti vivremo alla larga dalla paura. La Cina è il teatro distopico di tutta la vicenda; chiusa la via della seta in Europa si dorme sonni tranquilli.
L’America, intanto, è lontana: dall’altra parte della Luna.
Un giorno però succede qualcosa che forse solo la categoria medica aveva presagito: lo spostamento dello scenario virale in Europa. Nulla potrà il massacro di un solitario nazista (11 persone) di fronte alla psicosi che vede balzare alle cronache un luogo piccolo e insignificante, cosi fuori portata dalla Cina da destare sospetti in un’operazione congiunta di forze occulte. Questo luogo, Codogno, però è strategicamente vicino alla città locomotiva del sud Europa: Milano.
La vicenda ora si sposta in una stanza buia dove c’è una lampada e una scrivania, un luogo dimesso senza fronzoli e senza carattere. Due uomini siedono l’uno di fronte all’altro: uno è Italiano e l’altro Russo. Forse hanno un interprete al loro fianco, o più probabilmente comunicano entrambi con un pessimo inglese. In barba alle precauzioni cliniche, si stringono la mano dopo aver siglato l’accordo di un’operazione dal nome in codice “Ricchi e Poveri”.
Pochi giorni dopo il virus compare dal nulla e senza paziente zero nella provincia lombarda. Quell’Italiano sa che l’Italia si sentirà in dovere di mostrarsi ligia al dovere sanitario (per ragioni politiche e non etiche) e sa che quindi farà controlli come se non ci fosse un domani, portando sul piatto d'argento dei valori l’Efficienza arrostita. La trappola è scattata: come il bambino che all’insorgere delle pustole della varicella si gratterà forsennato, grattando grattando dal corpo abbastanza sano del paziente-zero-Italia emerge l’evidenza di un’epidemia proprio di quella cosa che era apparsa un mese prima nella lontana Cina. L’Italiano, che conosce i suoi polli, sfrutta questa situazione per usare indiscriminatamente lo straniero come untore e il Parlamento come complice.
Intanto il Russo è già seduto ad un’altra scrivania con un'altra lampada e un altro uomo (o donna): stavolta di lingua inglese (per cui, stavolta provvisto di interprete).
I media insistono sui numeri e la scienza impila informazioni come piatti sporchi da lavare. I virologi tra l’eccitato e lo spaventato sostengono tesi che non essendo uscite da centri di ricerca in stato di quiete, trasudano concitazione, bollono come acqua sul fuoco… Così numeri certi e dati incerti generano il caos. Per colpire l’Europa si è usata la nazione debole, quell’isola a forma di penisola denominata Italia. Bersaglio centrato di rimpallo. All’Italiano forse ora è sfuggita di mano l’intera operazione e ha realizzato troppo tardi che lo strascico dello sconcerto collettivo lascerà dietro di sé un paese ingovernabile. Ma ormai il Russo è già altrove e ha cambiato tutti i suoi account.
Gli altri Stati Membri della UE sono stati più svegli e hanno atteso che qualcuno prendesse la pagliuzza corta e beccasse la batosta del “focolajo”. “Ich wette, es wird Italien sein” ha detto qualcuno a Bruxelles mentre beveva il caffè con un collega del nord Europa. Qualsiasi Nazione dal PIL aggressivo sa che sarebbe stato meglio lasciare circolare il virus in attesa di una “Nazione Zero” che diventasse bersaglio ostracizzato modello cinese.
Qualche malizioso ha pensato che Milano, la grande città di cui Codogno è la miccia, è cosi vicina alla Svizzera che non si crede possibile non vi siano casi numerosi anche li. Il virus, come piace dire alla stampa, “non conosce confini”. Neppure passaggi a livello doganali, dunque?
Ma numeri, ossessione e paura offuscano la visione d’insieme e nessuno si accorge dei dettagli. Come anche nessuno si accorge che in Russia non ci sono casi dichiarati. Ma quale miglior paese per un’epidemia cinese? Città enormi e distanze che consentono solo uso di aerei o treni. Mix perfetto per una pandemia. L’Italia, a guardare bene, è un paese che fa ampio uso di veicoli privati, non è una nazione certamente aerofila e ha città di piccole dimensioni. La più grande è Roma che non fa neanche la metà di una media città cinese.
In Italia nell’A.D. 2020 vi sono 165 vecchi per 100 giovani (cit. Mattia Torre) e chi meglio di loro subisce il sottile fascino della paura indotta? Questo virus made-in-Pasadena è ben congegnato: senza sfiorare la popolazione professionale, quella che fattura e porta il PIL a casa degli under cinquanta, mina il vero target sociale a cui i media classici sono diretti. I vecchi, nati nel dopoguerra (e che la guerra non l’han vista), spaventati dai rintocchi della campana mortuaria, spaventano figli e nipoti mandandoli in combutta a svuotare i supermercati (come si era visto in tivvu), a comprare “pozzetti frigo”, ad arraffare mascherine per assomigliar ai giapponesi, ai cinesi, insomma a quelli li…
I cattivi di questo plot, ben più scoppiettante dell'Andromeda di Crichton, sanno che il virus dilaga dappertutto. Sorridono nel vedere i portoni delle scuole chiusi e le cler dei cinema abbassate perché sanno che questi accorgimenti non fanno altro che diluire nel tempo l’efficacia dell’epidemia. Chi ha progettato questo virus ad alto contagio e bassa mortalità ha una chiara idea del suo arco di sviluppo e sa quanto sia importante non assumerlo in massa: cosi facendo svilupperemmo tutti gli anticorpi e perderebbe di efficacia. La vita normale, senza restrizione delle regole, è il suo vero nemico. Al contrario la solitudine e la disgregazione ne allungherà l’effetto.
“Blestyashchiy!” ha detto il Russo uscendo dalla stanza. Il vaccino dunque è nella comunità e a portata di mano…
Come ogni racconto di fantascienza che si rispetti la storia deve lasciare l’amaro in bocca al lettore. La strada della solitudine domestica (e domotica), dell’auto quarantena permanente, della paura del “chiunque altro” non sia il sé stesso conosciuto, è incontrovertibilmente segnata. Famiglie chiuse in casa a bestemmiare contro la connessione internet che non regge le altre famiglie del condominio incassate nel divano serale . Piccoli assembramenti umani nelle loro dimore dove lavorano, mangiano deliverati, comunicano e si lasciano comunicare con la tecnologia portatile, con la paura della morte cinematografica, con il timore della perdita dei genitori (e non dei figli – che tanto non ci sono).
Le città galleggiano nel vuoto in preda agli sbadigli del tempo; il quadro reale di una storia di finzione.
Un complottista sostiene che tutto questo sarà utile a migliorare lo stato del clima globale.
Si diventa formiche per non diventar molliche.
*In proporzione, considerando mille e cento persone su un complessivo di un miliardo e mezzo, sono, su settanta milioni circa (la popolazione dell’Italia), una sessantina di persone. In Italia sessanta persone muoiono ogni due o tre giorni di un’infinità di problemi sanitari, psichiatrici, patologici differenti. Magari problemi per cui non si è fatto nessun gran bailame. E magari anche quando ci sarebbe stato da farlo.