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GOOGLE and MAGOOGLE

Non è il desiderio narcisista di un piacevole diversivo quello che mi spinge a cercare il nome Enrico Gabrielli su Google.

Banalmente, per un tizio che fa musica, teatro, danza, illustrazione, spettacolo e altre forme di intrattenimento più o meno auliche, Google è la bacheca con cui ti presenti.

Una grossa bacheca, una “bachecona”. Instagram, facebook, linkedin, il sito, eccetera eccetera finiscono nel calderone del cervello centrale di Google, in mezzo a quelle due “00”. Come la farina “00”, appunto, lasciata in una confezione aperta per mesi ecco formarsi prima i vermi e poi le farfalle. Così è stato per il mio stesso nome che sciaguratamente non ho curato come forse avrei dovuto. Provate a digitarlo anche voi, prego. Fatelo in www.google.it. Digitato? Bene. Calandomi nei panni di un cattedratico, punterò la mia bacchetta sulle eterogeneità della mia piccola figura d’artista: ecco, ad esempio, la prima bizzarria tra le immagini riportate in gruppo a destra, dei capelli ricci (direi che ce li ho molto lisci), sbarbato come un quindicenne (i miei baffi e i miei pochi peli li costudisco gelosamente), naso stretto (il mio è tozzo) e occhiali (ma se ci vedo benissimo!). Evidentemente quello non sono io: e perché dunque la faccia di Allevi è tra le prime che spuntano quando si cerca il mio nome? Il favore non è restituito e se cercate il suo nome e cognome sul benemerito Google.it ci sono inequivocabilmente solo immagini sue. Almeno ci fosse stato uno scambio reciproco di bit la cosa la si risolveva a carte. La colpa, o il merito, è di un’intervista che gli feci per conto di Rockit risalente al 2010. La feci con spirito ludico, cercando di essere allegramente tagliente e adeguatamente cattivo, e a lui ne è tornato in esposizione ed io in cambio me lo ritrovo lì, allocato abusivamente tra le case della mia proprietà d’immagine. Di primo acchito chiunque potrebbe pensare ad una collaborazione, ad un disco per cui io abbia fatto dei fiati, un suo concerto in cui io abbia suonato qualcosa, o almeno lasci supporre subliminalmente che un piccolo pegno di stima ci sia, una relazione se pur minima sia avvenuta. Nooooo per Astrarom, Belzebuh e Asmodeo! Ma me lo ritrovo lì, senza che neanche lui, poveraccio, ne abbia colpa. La colpa è una faccenda di meta-dati e di tags e l’unica soluzione per risolvere il problema, temo, sia radicale: togliere definitivamente quell’intervista dall’universo digitale. Ma mi si permetta di continuare questo breve (e noioso, lo so) excursus sugli imprevisti relativi alla mia modestissima figura. Sotto il riquadro a destra delle immagini ci sono uno stralcio di biografia presa da wikipedia, informazioni sulla mia data di nascita, casa discografica (dopo esser stato parte costitutiva di Trovarobato ed aver fondato la 19’40’’ ne compare una sola, Cinedelic Records, per cui ho fatto solo un disco in tutta la mia vita) e gruppi musicali. Ho bisogno di fumarmi una sigaretta prima di continuare a scrivere. PAUSA

Da che mi risulti, io sono un dissociato latente. Ma un vero dissociato non sa fino a che punto la verità si scosta dalla finzione. Essendo che le mie convinzioni sono motivate dalla parte di me apparentemente più cosciente l’unica cosa che posso fare è credere a quello che penso, crederci fino in fondo, crederci al punto da azzardare con dei tentativi di verità assoluta: dunque io sono convinto di aver fondato i Mariposa, i Calibro 35, i The Winstons, l’Orchestrina di Molto Agevole, gli Incident on South Street, i Craxi e di avere uno pseudonimo chiamato Der Maurer.

Sono anche convinto di essere stato negli Afterhours e sono altrettanto convinto che si sia trattata di una parentesi di soli tre anni rispetto ai quattordici dei Mariposa, dei dieci dei Calibro 35 e dei cinque dell’Orchestrina di Molto Agevole. La comparsa degli After sulla mia esistenza googoliana è ingombrante, ma lecita: ma con Vasco Brondi io cosa c’entro? Ho registrato un disco e fatto un tour di qualche data nel lontano 2010. Tutto qui. Cosa c’entra la mia piccola e pauperistica figura, con quel repertorio? E perché i primi BRANI (or SONGS if you look for my name on www.google.com) sono Cata carastrofe & co.? Ho messo le mani su una tastiera circa otto anni fa, senza aver composto una nota di quella musica.

E vorrei anche dire che declino ogni responsabilità da futuro, presente e passato dell’artista in questione.

Ho me stesso a cui pensare, prima. Il cattedratico adesso, toglie la cravatta e ripone la bacchetta perché è incazzato nero.

Con tutto ciò che è stato, con tutto quello che ho provato a fare, tra tutte le collaborazioni che ho avuto la fortuna di maturare negli ultimi cinque anni, mi ritrovo a spingere un fardello dentro un carretto che non è mio, che non mi riguarda e altri “non” che non ho voglia di enunciare. La pagina si conclude sulla destra con la lista degli Album principali, altro insensato errore di valutazione della rete: ce n’è uno degli Afterhours del 2008 (da loro stessi misconosciuto) in cui sono certo di non aver suonato neanche una nota. Mi chiedo, che cazzo di rete è questa rete? Google oltre che a calcolare algoritmi facendo errori madornali, è un muro di gomma in cui le responsabilità si perdono dentro al sistema del sistema del sistema. Ho scritto ad amici e conoscenti esperti in materia e tutti mi dicono che non c’è molto che si possa fare. È, in sostanza, come una malattia digitale genetica. Poi siam d’accordo, ci sono problemi ben più importanti nella vita. Però a questo punto mi auguro che il ben più illustre di me Enrico Gabrielli (giurista), faccia piazza pulita della mia presenza e mi seppellisca di link, tag e meta-dati e faccia scomparire completamente il guazzabuglio che involontariamente ho creato. Guardandomi nello stagno del web mi ci sono specchiato e mi sono fatto un po' pena. Se qualcuno dei pazienti seguaci del mio sfogo noterà nei prossimi tempi dei cambiamenti prego di farmelo sapere. Nel frattempo giuro che mi asterrò di ricercarmi ancora. È meglio una ricerca “interiore” alla vecchia, con libri e panorami diroccati fuori dalla finestra.

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