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La Pura del Singa: ovvero la città del leone col divieto di masticare.


Alle 4 di mattina nel Downtown Core di Singapore non c'è nessuno. Come essere in mezzo a centocinquanta Torri Bianche di Vimercate, di lunedì e in pieno agosto.

C'è un rumore, una specie di sibilo continuo, probabilmente le macchine lavastrade o qualche cantiere di notte.

E poi fasci luminosi che tagliano il cielo come gigantesche dita affilate.

Vivono qui 5 milioni di persone, quasi tutti filippini, malesi e commonwelth citizens; convivono lavoratori umili e multimiliardari, servitù grand-alberghiera e ipercapitalismo. La prima lingua ufficiale è l'inglese: la seconda quella locale. Diciamo pure che il colonialismo, qui, è andato ben oltre la misura. Si intuisce che SIngapore è uno dei tanti paradisi del divertimento in tipico stile "disimpegnato", e del turismo sessuale, marchio di fabbrica del mar Cinese del Sud. A 8 miglia da qui c'è la Malesia: mi figuravo il mondo di Salgari, l'orgoglio piratesco di Sandokan e de Le Tigri di Mompraçem*, gli assalti alle giunche cinesi diretti verso l'isola inlgese di Labuan bla bla bla.

Cose fantasiose, irreali, lontanissime: qui nella città-stato di Singapore non vi è la più minima traccia del porto da dove partì Joseph Conrad per Bankok in The Shadow Line (La Linea d'ombra), e l'unica cosa che si chiama "Conrad" è la catena alberghiera dove stiamo alloggiando. Dalla finestra, al dodicesimo piano, c'è probabilmente tutto quello che si può vedere e capire di questo luogo.

Del resto è un posto perfetto per starsene in hotel e farsi i cazzacci propri: francamente non si ha nessuna crisi di coscienza nel non aver visto bene la città. Singapore, "La Città del Leone" (mai stati leoni qui, che fosse una tigre malese?) è a tutti gli effetti un gigantesco shop mall; camminando attorno all'Esplanade, il teatro polifunzionale sulla baia, sembra di stare dentro ad un aeroporto, tipo quello di Du Bai o di Abu Dhabi. L'illusione di essere in uno spazio chiuso la percepisci dall'ossessione che c'è al non sporcare, al restringere in piccoli box delimitati le aree fumatori, al divieto di bere o mangiare in determinati punti della camminata. Bisogna ricordarsi di non portare dietro i chewing-gum: qua sono illegali. In compenso c'è una quantità di cemento che coprirebbe l'intero Lussemburgo.

A vedere da qui le ultime notizie sull'ennesimo terremoto ad Amatrice e il terribile disastro dell'Hotel di Rigopiano sembra proprio che quella sciocca dea bendata della fortuna abbia voluto prendersi una vacanza dalla penisola.

Se putacaso la incontro da queste parti la rimando a calci in culo in Italia.

* A proposito di Salgari: l'isola di Mompraçem è molto probabilmente una piccola isola, ufficialmente disabitata, di nome Kuraman, situata nella baia di Brunei e nella "metà" est della Malesia. A zoommare su google map, si vedono solo alberi, una lingua di sabbia che probabilmente funziona da porticciolo e una casa lunga, probabilmente un prefabbricato.

A quanto pare ci vivono solo dei filippini senza permesso di soggiorno malese (la Malesia è comunque uno stato più ricco e una piccola potenza industriale rispetto agli altri paesi limitrofi). Mi vengono in mente, a tal proposito, i racconti di Eddy Cattaneo, il simpatico e indomito viaggiatore bergamasco che qualche anno fa ha fatto il giro del mondo via terra (http://mondoviaterra.blogspot.sg/): mi parlava dell'equipaggio di un cargo con cui aveva fatto tre settimane senza vedere, in mare, nemmeno una nave.

Il grosso della ciurma era filippina, piccolini di statura ma con delle facce, a quanto pare, poco rassicuranti. L'isola di Kurman si trova ad un passo dall'isola Labuan, di cui si parla ne "Le Tigri di Mompraçem", quando Sandokan decide di "conquistare" la fanciulla bionda (Marianne, l'inglese figlia di Lord Guillonk) a bordo di due prahos pieni zeppi di pirati malesi, come si direbbe adesso, "psicopatici". Che sia un covo di pirati ancora adesso, come quelli de "The Life Aquatic with Steve Zizou"? Salgari, in questo caso, ci avrebbe visto lungo.

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