top of page
Cerca

"Sont't andaa dent in d'el Boggia" ovvero la storia del Mostro della Bagnera, rac

Quello che stupisce è che Milano è una città decisamente poco furba.

Sì, è una città di grande iniziativa criminale d'accordo, ma alla fin fine c'è una certezza cosciente e significativa di fallimento di tale iniziativa.

Il delinquere qua ha una sua parabola inesorabile.

Non che ci sia una dissuasione naturale, un non procedere appreso da altrui errori, tutt'altro: perpetrare e ripetere.

Un mantra. Altrove il criminale è restato impunito e ha fondato un modus operandi. Diciamo che a Milano ci si prova sempre e in modo diverso. E la città restituisce il passo falso.

Il perché è semplice: ci si scorda degli eventi e di come sono andate le cose. Come fanno i pesci.

Memoria zero. Pensiamo alle monete contro Craxi: e chi se le ricorda più? Se a Londra uno dei personaggi ottocenteschi fu Jack The Ripper, nessuno a Milano è stato in grado di far diventare altrettanto celebre il Mostro della Stretta Bagnera. Ok, passi pure che nessuno si ricorda che all'Arena Civica c'è passato Buffalo Bill col suo Wild West Show, ma non si capisce proprio perché non ci sia stato nessun furbacchione che col Mostro meneghino non ci abbia fatto del danè. Bastava poco: prendere una cantina in via Bagnera, chiamarla "Museo del Mostro di Milano", riempirla di puttanate tipo la mannaia originale (che a quanto pare esiste veramente), la testa del serial killer su cui Cesare Lombroso fece grandi scoperte e un bel biglietto d'ingresso col patrocinio del benemerito Comune di Milano. Dio santo, sarebbe stato un affare. La storia del Mostro è nota ed è stata ben raccontata dal dott. Giovanni Luzzi. Tra via Nerino, la Chiesa di San Giorgio e via Santa Marta, dove le bombe della seconda guerra mondiale hanno sentenziato a caso quali palazzi lasciare in piedi, c'è la Stretta Bagnera, la dark street di un centro città che non ha più luoghi ma solo ritrovi.

La vicenda si svolge grossomodo qui, quando Milano era piena di navigli e dove i bastioni rappresentavano davvero il confine urbano del mondo. Antonio Boggia, un fallimentare imprenditore edile nato ad Urio di Como, si trasferì nel 1844 in via Nerino 8 a Milano, nei pressi del Carrobbio; un devotissimo vedovo con due figli a carico. Negli anni diventò amico e confidente di un tal Angelo Serafino Ribbone, un brav'uomo che lavorava alle stufe del Comando di Polizia di Palazzo Cusani. Nel 1849 il Ribbone raccontò al Boggia che voleva sposarsi e che aveva da parte, tenute in custodia da una cugina, circa 1.400 svanziche (letteralmente zwanzig ovvero "20", la moneta da venti kreutzer in vigore durante il dominio austriaco).

Il Boggia decise di aiutarlo a fargli mettere in banca questo piccolo ma importante patrimonio.

Questo l'ipotetico dialogo, in una casa puzzolente d'alcool piena di crocifissi, immagini votive, santi e santini. BOGGIA Caro mio, se te ne presenta l'occasione vai a Casciago e fatti ridare le svanziche. Inventati un pretesto, ma non far passare troppo tempo. È il consiglio che ti darebbe tuo padre se fosse ancora vivo. RIBBONE Non vorrei mia cugina ci rimanesse male, però. Comunque ci penso sopra, Toni. BOGGIA Ah Ribbone. Ho preso in affitto un magazzino interrato qua dietro. Se vuoi vederlo è un semplice stanzino, ma sotto c'è una cantina che se hai bisogno di far qualche lavoro senza disturbo te la lascio senza incomodo. Esco ora e vado lì... RIBBONE La vedo volentieri. Il resto va da se: i due cammirano per la stretta Bagnera, che stretta lo è veramente, e buia molto.

Ancora adesso. Nel seminterrato il Boggia, come un antenato del funesto Kabobo, prese una scure e fracassò la testa dell'amico perché lo "colse un estro", come poi dirà in tribunale.

Poi lo fece a pezzi e lo seppellì sotto le assi del pavimento. Il giorno successivo andò dal notaio Gaslini in via degli Omenoni, in quel famoso palazzo con le cariatidi, con una falsa persona per una firma croce-segno allo scopo di farsi dare un documento di procura a nome di Angelo Serafino Ribbone.

Riuscì poi a riscuotere il denaro dalla cugina e a spenderlo tutto in liquori. Alle pochissime persone che cercheranno il Ribbone negli anni seguenti, diceva che "il Ribbone si è fatto una bella posizione a Lodi". Intanto il bel tabarro da matrimonio che indossava il Ribbone ai tempi dell'omicidio diventerà l'uniforme del mostro, rendendo questo Boggia, già di per se molto alto e con folte ciglia, una figura sulfurea.

Il gennaio del 1850 fu il turno del mediatore Marchesotti, noto nel quartiere per essere uno che correva alla cavallina, malgrado un matrimonio e due figli. A lui il Boggia propose un affare e gli chiese se aveva modo di investire 4.000 svanziche. E il Marchesotti, che evidentemente si fidò dell'uomo, recuperò il denaro.

L'appuntamento era in via Morigi. Per andarci si incontrano prima all'Osteria dei Muratori, a Ponte Vetero, e visto che faceva freddo e nevicava bevvero parecchi bicchierini di assenzio per riscaldarsi. Appreso che il Marchesotti aveva i soldi con se, il Boggia gli propose di fare un salto in cantina alla Bagnera dove "ho un paio di cavalletti di due braccia adatti a ponti di fabbrica che te li metto nell'affare". Quel che accadde va da sè. Il giorno dopo il Boggia tornò all'Osteria dei Muratori e si lamentò della scomparsa del socio in affari e dei debiti che per colpa sua avrebbe contratto. Nel marzo del 1851 l'ennesima vittima: il fabbro Pietro Meazza detto Il Bauscia, perchè a causa dell'assenza dei due incisivi perdeva molta saliva quando parlava.

In pratica il Boggia, assistito questa volta da un tale Binda, raggirò l'uomo e lo convinse a lasciare ferri ed avèri a lui in procura con una vaga promessa di matrimonio assieme ad una cugina sul Lago di Como. Il Bauscia, accettate tutte le condizioni, fece un'ultima cortesia all'amico Boggia e presi gli arnesi dalla bottega andò a sistemare una nuova serratura del lucchetto della solita cantina in via Bagnera.

Vecchio e di movimenti lenti, fu macellato come una gallina da brodo. Accadde poi che un giorno il contabile Giovanni Comi dovette dare una mano al Boggia sull'affare Meazza, perché nel frattempo quel tale Binda aveva a sua volta truffato il Boggia.

Insomma un pacco e contropaccotto tra galantuomini.

Durante la lettura di alcune carte il Comi fu aggredito con una pesante mannaia. Lo salvò il cappello in feltro con tesa rigida, che attutì il colpo dell'arma. Nella fuga il Comi s'imbattè in una previdenziale guardia di finanza.

Il Boggia, venne trattenuto in un frenocomio sotto legge austriaca per tre mesi a purganti, chinino e amaricanti. Il tremendo manicomio (o frenocomio come si diceva un tempo) era quello della Senavra, ora parrocchia del Preziosissimo Sangue di Gesù Cristo al numero 50 di Corso XXII marzo. Questa un'ipotetica perizia di quello che fu il dottore assegnato al caso, il Tarchini-Bonfanti: Il soggetto Antonio Boggia non offre segni di lesione delle facoltà mentali, però si dimostra afflitto, insonne, taciturno ed accusa spesso sofferenza al capo. Testimoni e conoscenti dichiarano di averlo ritenuto sempre debole di mente, tenero per i liquori e apatico al punto che non si è mai dimostrato spiacente per la morte della moglie Daria Pedroli. Le circostanze del raptus sul Comi devono essere state causate da un esaurimento dei nervi in seguito ad una truffa subita da ignoti. Altre testimonianze segnalano che il signor Boggia è capace di cambiare umore dal collerico all'affabile senza apparente motivo. Ciò è sufficiente per ritenere che al momento dell'aggressione al Comi, il paziente non fosse responsabile delle sue azioni e dunque egli deve essere tenuto in osservazione per qualche tempo nell'istituto. Il sottoscritto, perito nell'inchiesta dott. Tarchini - Bonfanti al frenocomio della Senavra. Nel maggio 1859, uscito ormai da tempo per presunta guarigione, fece il suo ultimo omicidio ai danni di una vecchia di nome Ester Maria Perrocchio, proprietaria dello stabile al numero 10 di via Santa Marta. Essendo il Boggia e la signora due feroci bigotti ed entrambi parrocchiani alla chiesa di San Giorgio, erano in grande sintonia. Il Boggia infatti riuscì nell'ardua impresa di venire assunto in procura come capomastro del palazzo. Conclusesi le prime pratiche notarili, la donna venne massacrata nella sua stessa casa a colpi di scure. L'omicida, racconterà in processo, avrebbe dormito a fianco del cadavere per quasi un giorno intero prima di fare a pezzi il corpo col progetto di seppellirlo.

Dopo un'altra serie di vicende notarili e di raggiri ai danni del figlio della donna, il Mostro della Bagnera venne finalmente scoperto ed arrestato. Emerso che dietro i delitti c'era sempre stato lo scopo di lucro, il Boggia venne condannato a morte dopo una breve battaglia giuridica sulla sua presunta infermità mentale. Il processo fu un caso giornalistico senza precedenti: il primo giorno di seduta una folla impazzita fu fatta sgomberare dall'aula. L'8 aprile 1862 fu impiccato vicino a Porta Ludovica, e fu l'ultimo civile condannato a morte di Milano e d'Italia, prima dell'abolizione della pena capitale nel Codice Zanardelli del 1890.

La testa decollata fu portata al Gabinetto Anatomico dell'Ospedale Maggiore (l'attuale Università Statale). Il corpo invece fu sepolto al cimitero del Gentilino, cimitero che dal 1895 non esiste più. In seguito l'illustre Cesare Lombroso, dopo attente analisi del cranio, trasse conferme importanti sui suoi studi fisiognomici e sulla strampalata teoria dell'assassino nato. Ecco qua: una schifosa vicenda di un truffatore alcolizzato che prediligeva gente sola e su cui usava estremi rimedi, pizzicato durante un ultimo maldestro passaggio notarile. Roba da palazzinari, da televenditori, da appaltatori, da segretari di regione. Come direbbe un insegnante delle medie: la storia ha un inizio, uno svolgimento e una fine, bravo.

Otto più (cit.). Quando invece di quel Jack the Ripper non si è mai scoperto un cavolo, malgrado cadaveri di prostitute in strada, perversioni di tutti i tipi e un'epopea da riempirci scaffali interi di libri.

Qua solo miseria, solo un criminale orrendo tra i criminali dei più grigi, mai abbastanza furbo; sin troppo milanese. Sarebbe vera giustizia che qualcuno ci facesse parecchie svanziche sopra questa storia.

Riprese Elvio Manuzzi / Sergio Giusti

Tratto da re/search milano - map of a city in pieces, agenzia X, 2015.

RECENT POST
bottom of page